"Per Angelo Garoglio", by Giovanni Romano
2006

Segno
"Nous étions l'illusion qu'on nomme souvenir", si può usare questo verso di Yves Bonnefois per provare ad avvicinarci ai disegni di Angelo Garoglio. Il significato è diffìcile e sfuggente (l'illusoria verità di un ricordo usurato), ma proprio in questo ritrarsi dall'evidenza razionale, dalla facile decifrabilità, si riconosce il parallelismo tra i pittore e il poeta. Garoglio spiega a parole che i suoi disegni sono ispirati al mondo naturale (le mani, i corpi, le foglie), ma chi guarda riconosce solo tracce residuali, che non si riconducono a un' immagine organica: sono scorie di una forma annullatasi nel tempo, bruciata da una sovraesposizione luminosa che abbaglia e rende incapaci di riconoscere la figura originaria. Il segno si impone per una eleganza astratta, per la ricercata sfumatura del colore, di fonte quasi orientale, come fossero prove segrete di un Matisse sulla via dell'astrazione pura. Sono traduzioni di percezioni in una calligrafia non perfezionata, per evitare il fatuo compiacimento della bella pittura.

Colore
Nei raffinati accostamenti tra il bitume e la grafite Garoglio mostra di avere una particolarissima sensibilità cromatica e chi conosce i suoi maestri torinesi (Ruggeri, Devalle, De Alexandris) identifica senza fatica la fonte di tanta acutezza; resta però una censura contro la spontaneità. Il colore non è festosamente brillante, così come esiste nella realtà, è scelto piuttosto in gamme di tonalità ombrosa. Solo l'incontro felice tra lo smalto del bitume e il velluto setoso della grafite compie il miracolo della seduzione, come per un accordo musicale di note basse, un poco in sordina. La parola "seduzione" non rientra nel vocabolario d'uso di Garoglio che preferisce escludere l'interferenza personale, fermarsi prima di diventare espressivo, evitare la pittura come personale terapia. E' certo però che anche il pittore si incanta, come il critico indiscreto, davanti al miracolo di sostanze colorate che si distendono pigramente sul foglio in amichevole e distinta armonia.

Materia
II controllo imposto alle proprie doti di pittore ha spinto Garoglio verso una singolare serie di interventi sulla pietra, alla ricerca di segni, tessiture cromatiche e di vibrazioni luminose che si diano in natura e quindi eliminino la scelta espressiva del pittore. Il colore, la traccia significante, la luce vanno trovati nella materia che incontri ogni giorno e la mano dell'operatore non compie altro gesto che quello di liberarli incidendo, sfiorando, corrodendo la superficie del travertino o del "rosso Persia". La sensibilità dell'artista consiste nel "sentire" queste potenzialità della materia, nel farsene partecipe, come per una intima collaborazione al grande e segreto linguaggio della creazione. Anche per descrivere questo scavare nei materiali della natura alla ricerca di un alfabeto nascosto tornano in qualche modo appropriate le parole di Bonnefoy sul senso profondo delle antiche scritture su pietra, per quanto semicancellate dal tempo: "la forme qui caractérise le signe...doit composer avec ce que le granit ou l'ardoise ont de spécifique, leur résistance à l'entaille qui fait que le trait dévie et que le hasard se manifeste". Lo stupore ammirato di fronte all' evidenziarsi del risultato cercato e scoperto per azzardo, mi pare il senso vero del lavoro di Garoglio.